Dall’immagine paternalista del grande medico, seguito da un’infermiera dallo sguardo adorante, ai graffiti nelle sale d’aspetto fino ai questionari d’esame di dubbio gusto, il sessismo in medicina è solidamente fissato nelle mentalità, fin dai primi passi delle/dei future/i praticanti.
Tutto inizia al primo anno di corso, l’anno del concorso dove l’obiettivo è quello di risultare migliori della persona che ci sta a fianco, durante il quale gli studenti degli anni superiori si avvicinano a noi lungo i banchi dell’anfiteatro per dirci fino a qual punto l’anno dopo ci si divertirà tutti insieme e si sarà i migliori amici del mondo. Questo, avviando già la gerarchia che sarà predominante nel seguito dei nostri studi e nella nostra futura professione. Arrivano a vantarci le qualità sessuali divine dei nostri colleghi maschi, attraverso canzoni oscene dove le donne sono ridotte al rango di oggetti sessuali inanimati o di trofei da accumulare. Prendiamo ad esempio la canzone delle carabine (gli studenti di medicina): “Le carabine fottono come dei, hanno tutti dei nastri rossi e blu. Le ragazze della facoltà hanno un solo scopo, quello di fargli un pompino”.
Successivamente, quando si arriva al tanto atteso secondo anno, gli studenti del terzo anno, soprattutto quelli e quelle che occupano dei ruoli nella corporazione studentesca (dunque, secondo il loro ego, dei piccoli capetti) ci mettono in una squadra insieme ad altri colleghi per realizzare ciò che chiamano i “comandamenti”, che ci servono ad accumulare punti e guadagnare un premio durante la sera del week-end “d’integrazione”. In una lista di 50 comandamenti che vanno dal più soft al più trash, troviamo delle piccole perle come “sculacciare tre sconosciute per la strada dicendole ‘ti piace questo, porcellona?’”, “fotocopiare i suoi seni per la corporazione studentesca” o quello che è il must, “girare un video porno”, che porta il massimo dei punti. Ovviamente, TUTTO questo deve essere filmato, giusto per farsi una bella risata insieme, riguardando le scene con i colleghi che molestano le persone per la strada. Parte integrante della “Tradizione Carabina”, tutte queste piccole meraviglie umilianti e degradanti che studenti e studentesse sono costrette/i a subire – ciò che rende davvero fieri di essere a medicina e di appartenere a questo circolo elitario. Questo sistema di comandamenti è giustificato, da coloro che lo perpetuano, come un mezzo per formare legami e incontrare le altre persone della loro corporazione studentesca. Giustamente, cosa c’è di meglio per conoscersi che costringerci a metterci tutti insieme in situazioni umilianti?
Quando dico “si è forzati”, mi si risponde che no, ci si ripete all’inizio dell’anno che “se ci sono delle cose che non avete voglia di fare, non le fate e basta, non vi preoccupate”. Si, sarebbe bello, ma ci si avverte fin dal primo anno che se non si fanno delle cose un po’ spinte e non si mostra che si ha le palle, si sarà classificati come “studenti fantasma”. In un sistema poi dove ci si incita a pensare che il solo mezzo per esistere è essere integrate/i, molti lasciano da parte la loro etica e la loro integrità morale.
Arriva poi il week-end “d’integrazione”, parossismo dell’umiliazione, dove quelle/i del secondo anno (chiamati “Bizuths”) devono effettuare dei percorsi nel bosco durante i quali gli studenti degli anni superiori gli lanciano avanzi di cibo o altre cose poco onorevoli a base di differenti fluidi corporei, gridando “A morte i Bizuths”, costringendoli in situazioni degradanti, spesso in ginocchio, ad esempio mentre si atteggiano a cani mangiando un dado per alimenti o cibo per animali. Non fa nulla, essi così si giustificano: “Si, se non volete non lo fate, noi stessi lo abbiamo fatto l’anno scorso, tenete presente che l’anno prossimo toccherà a voi [dominare].” Grandioso! L’anno prossimo potremo umiliare gratuitamente delle persone e sfogare le mie frustrazioni su altre/i studentesse e studenti: lo aspettiamo con impazienza! Ilweek-end “d’integrazione” è dunque un bell’esempio di messa in atto del sistema gerarchico, basato sull’umiliazione e l’oppressione, che regge gli studi di medicina e, dopo, la professione. Sistema spesso legittimato dal suo aspetto tradizionale (la tradizione carabina) e dalla lunghezza e difficoltà degli studi. In effetti, poiché si sta così a lungo insieme, in un consesso chiusissimo ed elitario, se si vuole avere speranze di carriera, è molto meglio farsi benvolere e sviluppare le migliori relazioni con le “buone persone”. Per far ciò, occorre essere integrati e, per essere integrati, occorre passare per i processi di umiliazione, in un modo o nell’altro. Insomma occorre farsi umiliare, per poi successivamente umiliare gli altri, sempre rispettando la gerarchia.
Durante la serata d’integrazione, la sera del giorno dopo, dove studenti e studentesse del secondo e terzo anno finalmente riconciliati fanno festa insieme, poiché sono i migliori amici del mondo e tutto è bene quel che finisce bene, si guadagna il diritto di partecipare ad una elezione di finissimo gusto, quella di “Miss Calore”. Miss Calore ottiene il suo titolo grazie ai tipi della corporazione studentesca, questi gran simpaticoni, che la scelgono in base a criteri uno meglio dell’altro: per esempio, il numero di persone con cui ha fatto l’amore durante la festa dei promossi, le cose più trash che ha osato fare (mostrare i suoi seni, ecc.), il numero di persone con cui si suppone abbia pomiciato durante la serata, ecc. Dunque, oltre a vedere la propria intimità rivelata ad un gran numero di persone, subisce anche la colpevolizzazione ed il giudizio sulla sua sessualità da parte dei suoi colleghi. Ovviamente, lei non ha alcun omologo maschile ed anche se, di solito, accoglie il titolo con un sorriso, in ogni caso un po’ forzato (ma sì, non c’è gran scelta, si scherza, è un gioco), porterà lungo tutto l’anno o anche per tutto il periodo degli studi l’etichetta che quel giorno le è stata appiccicata addosso, nonché i commenti sprezzanti di talune e taluni colleghe/hi che ne conseguono.
Ma attenzione! “Lei quanto meno se l’è cercata, eh! Ma sì, a furia di coricarsi con chiunque, di mostrare a tutti i suoi seni, era scontato che vincesse il titolo… Osservando bene, ha quanto meno l’aria contenta, sorride e tutto il resto! Non vedo cosa c’è di male, ci si diverte!” Beh sì francamente, cosa c’è di male quando si fa pensare a lei come a tante altre che il suo solo valore proviene dal suo corpo e dai modi in cui lo può usare per soddisfare i suoi colleghi maschi? Cosa c’è di male quando si dice agli studenti che il solo modo di andare avanti e di farsi strada è quello di farsi trattare come un pezzo di carne ed accettare di essere costantemente umiliati e degradati? Cosa c’è di male quando in ogni momento si nega loro il diritto di contestazione, di espressione, il rispetto del loro libero consenso?
Si, perché così vanno le cose, decisamente il consenso non è un concetto che si apprende nei corsi. È vero, ci si insegna a rispettare il consenso esplicito dei pazienti, con più o meno successo, questo però decisamente non è una cosa applicabile alle femmine dell’ambiente medico, secondo la tradizione carabina. Sì: perché durante queste geniali serate della facoltà di medicina, dove tutti non si controllano, si ride insieme, ci sono ragazze che si lasciano molestare, cioè aggredire sessualmente, il tutto in gran segreto. Un segreto non nel senso fattuale, perché la cosa non è sconosciuta alle studentesse e agli studenti che talvolta assistono alla scena senza manifestare il proprio dissenso. Regnano però in questo ambiente un livello talmente basso di considerazione delle donne, e anche un potente sistema di protezione delle personalità “popolari” del gruppo dei promossi o dei superiori, che in questi casi spesso è la vittima stessa ad essere disapprovata. “Sì, beh, ma aspetta un attimo, lo sai che quando beve diventa violento, non lo sai che non dovevi provocarlo in quel modo?”. “Ma è un tipo simpaticissimo, si sa che quando beve non si controlla”. “Poi era almeno il terzo tipo della serata con cui pomiciavi” – sono cose che ho ascoltato con le mie orecchie. Si inverte completamente il ruolo vittima-aggressore, rigettando la colpa sul comportamento della vittima, emettendo un giudizio sulle sue azioni, mentre il tipo, effettivamente colpevole, si vede scaricato di ogni responsabilità perché, diciamolo, è così simpatico… Ma si sa bene, la molestia sessuale o lo stupro sono EVIDENTEMENTE colpa delle vittime che se la sono proprio cercata, mentre gli aggressori, in genere, non potevano farci nulla, poveri agnellini…
Mentre tutte queste concezioni molto radicate di dominio e misoginia trovano un posto ben riparato nelle menti dei futuri professionisti, questi continuano i loro studi, per diventare chirurghi, medici generici e, talvolta, ginecologi. Come potete ben immaginare, questi comportamenti sessisti ed umilianti non spariscono una volta ottenuta la laurea: basta vedere il numero di studenti che sono vittima di molestie sessuali da parte dei loro superiori maschi. Leggevo di recente alcune testimonianze di precarie che avevano dei capi servizio che amavano prenderle sulle loro ginocchia o darle una piccola sculacciata prima di uscire dalla sala operatoria – oh, questi innocenti giocherelloni!
Questo sessismo e questo paternalismo ambientali creano dei professionisti che hanno imparato a denigrare le donne, a non considerarle uguali agli uomini, sia che siano pazienti sia che siano colleghe. Infine, per le pazienti è il massimo, in virtù della relazione fortemente squilibrata di partenza medico-paziente, cui si aggiunge un’ulteriore discriminazione basata sul loro genere. Questa si fa sentire ad un livello particolarmente elevato: vi sono, ad esempio, alcuni studi che mostrano che i medici hanno la tendenza a sottostimare il dolore delle donne ed a denigrare le loro rimostranze [più di quelle degli uomini, NdT]. Questo perché hanno introiettato degli stereotipi di genere del tutto infondati, secondo i quali le donne si lamentano molto più spesso e non meritano quindi la stessa considerazione dei seri uomini, forti e robusti. Tutto ciò non solo è completamente idiota, è anche gravissimo perché porta a ritardi diagnostici ed ad una cattiva gestione del dolore.
Questa situazione la ritroviamo anche presso i ginecologi o presso i medici generalisti che rifiutano di prescrive determinati tipi di contraccettivi, apportando giudizi sulla sessualità o sul desiderio o meno di maternità delle loro pazienti. Non c’è bisogno di fare approfondite ricerche sulla rete per trovare le testimonianze di donne cui è stato rifiutato, per esempio, di posare una spirale, sotto il falso pretesto che questo aumenterebbe il rischio di determinate malattie o perché potrebbe portare ad una sterilità definitiva. Come dicevamo, questo è completamente falso! Non soltanto si rifiuta alle donne il potere decisionale sui loro corpi, ma inoltre si considera sempre queste questioni riducendole al loro ruolo materno, di riproduttrici, dimenticando del tutto i loro diritti. Vedere cose del genere da parte di medici specializzati nella salute delle donne è certamente un problema. Perché il ruolo di questi professionisti è ascoltare le loro pazienti, informarle, seguirle, formarsi al meglio possibile per realizzare tutto questo. Non è certamente quello di giudicarle o di impedir loro l’accesso a determinati tipi di contraccezione in base a quelle che sono le loro opinioni morali, non è di certo esercitare un controllo sui loro corpi, rifiutandosi di crederle capaci di prendere decisioni che le riguardano.
Ci sono molti altri esempi del sessismo che regna nell’ambiente medico: per averne un assaggio basta digitare sul motore di ricerca “sessismo e medicina” e scorrere le testimonianze di pazienti e studentesse/studenti che ne sono vittime.
Fortunatamente, la questione non riguarda tutti i medici ed esistono eccellenti professioniste/i che esercitano con passione il loro mestiere ed hanno a cuore la salute ed il benessere delle/dei loro pazienti. Alcuni siti come www.gynandco.wordpress.co raccolgono in ogni caso le strutture di assistenza sanitaria a carattere esplicitamente femminista.
Felix, Groupe La Mistoufle de la Fédération Anarchiste, Caen
Traduzione di Enrico Voccia
NOTE
* Il testo è, come si noterà, costruito intorno al gergo delle “carabine”, degli studenti di medicina francesi, per cui la traduzione è stata difficoltosa e chiediamo scusa per eventuali errori. Il testo mostra una situazione molto particolare legata alla situazione francese: non ci risulta ci sia un equivalente in Italia – per fortuna – ma la vigilanza non è mai troppa.